Incognita commuting: a spaventare i talenti non è il lavoro
E se ci fossimo dimenticati del commuting? Se ci fossimo cioè troppo concentrati su altri aspetti della vita d’impresa – digitalizzazione dei processi, piani di upskilling, benessere organizzativo – e dopo la pandemia avessimo finito per trascurare questo elemento solo apparentemente marginale nel rapporto tra le persone e il proprio lavoro?
Pensiamoci un istante. Appena usciti dalla fase acuta dell’emergenza, non c’è stato un solo CEO o responsabile HR disposto a rinunciare alla sua quota di “rivoluzione”. Non c’è stato manager che non si sia detto pronto, a partire da quel momento, a cambiare ogni cosa in azienda. A non riconoscere il bisogno di un’accelerata, vista la portata del cambiamento in atto.
Ed è quello che è successo. Dai meeting ai modelli organizzativi, non c’è settore o divisione aziendale che non abbia risentito del cambio di paradigma imposto dalla pandemia. Che non abbia percepito il passaggio da un prima a un dopo. Solo una cosa, però, non è cambiata. Solo di una cosa non si è preoccupato chi scommetteva su una trasformazione totale del mondo del lavoro: del commuting.
Commuting: da incognita a leva di attraction
E pensare invece che il commuting è sempre stato un nervo scoperto per le imprese. Anche prima che il mondo del lavoro entrasse in una fase di grande instabilità come quella attuale.
Del tragitto casa-lavoro si parla infatti da decenni. Ma ora lo facciamo in maniera diversa. Perché se prima si pensava al commuting in termini di “come le persone raggiungono il posto di lavoro”, dopo la pandemia il tema si è spostato su “quanto tempo il pendolarismo ruba ai lavoratori”. Un passaggio semplice, insomma: dal come, al quanto.
Semplice, ma tutt’altro che marginale. Soprattutto perché è sulla quantità e sulla qualità del tempo al lavoro offerto ai collaboratori che si gioca oggi la competitività di molte organizzazioni. Ecco perché, da incognita, il commuting può diventare davvero per molte imprese una potente leva di attraction.
L’impatto del tragitto casa-lavoro sul work-life balance
Per capire quanto il tragitto casa-lavoro rappresenti un game-cangher nella scelta di un’azienda per un candidato, è sufficiente riflettere sui fattori dai quali questa scelta oggi dipende.
Un’indagine pubblicata sulle colonne de la Repubblica, a questo proposito, ci mostra molto chiaramente gli elementi su cui si basa l’appeal di un’organizzazione nel post-pandemia. E indovinate un po’ il commuting dove si colloca?
I principali driver di attraction per i talenti:
- equilibrio lavoro-vita privata (60,5%)
- atmosfera piacevole al lavoro (57,5%)
- retribuzione e benefit interessanti (54,4%)
- sicurezza del posto di lavoro (51%)
- visibilità del percorso di carriera (47%)
- formazione di qualità (43,5%)
- solidità finanziaria (42%)
- possibilità di lavorare da remoto (31%)
- ubicazione in posizione comoda (30%)
- ottima reputazione (29%)
Il commuting e la paura del tempo perso
Direte: e il commuting dov’è? Rispondiamo alla domanda con un’altra domanda: da cosa credete dipenda quel 60 e oltre percento che dice di volere una migliore conciliazione vita-lavoro? E a cosa pensa quel 31% che negli annunci di lavoro cerca la possibilità di lavorare da remoto? E cosa maledice, infine, quel 30% che dichiara di prendere in considerazione solo offerte con una “posizione comoda”?
Quello su cui i responsabili delle divisioni HR dovrebbero riflettere è che a spaventare i talenti che scappano dalle aziende non è il lavoro, ma il tempo perso. O, se preferite, quello sottratto alla vita al di fuori delle quattro mura aziendali.
Non siete ancora del tutto convinti? D’accordo. Allora basterà scorrere ancora un po’ l’indagine per trovare un altro dato. Stavolta, siamo sicuri, definitivo. Riguarda i motivi per cui i collaboratori abbandonano un’azienda. O, se preferite, l’origine del job hopping.
I fattori del job hopping (in ordine sparso):
- scarso equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (36%)
- ci metto troppo tempo per arrivare al lavoro (16%)
- non ho abbastanza opzioni di lavoro flessibile (12%)
Il pendolarismo è odiato un po’ ovunque
Questa fobia del pendolarismo, però, non è solo italiana. Anzi. I primi a vedere nel commuting una minaccia per le capacità attrattive delle organizzazioni sono stati i britannici.
Qui la sensazione dei lavoratori di sprecare tempo utile è addirittura precedente alla pandemia, ma è negli anni successivi all’emergenza che ha raggiunto il suo apice. Finendo così per aggravare ulteriormente fenomeni di complessa gestione per le aziende come Great Resignation e Quiet Quitting.
Per non parlare di cosa sta accadendo negli Stati Uniti. Dove dalle piccole realtà ai grandi colossi tecnologici lo scenario è praticamente lo stesso. Lo ha raccontato bene l’editorialista del New York Times Farhad Manjoo, in un interessante articolo di cui vi riportiamo un brevissimo estratto.
“Se vogliamo che le persone vadano in ufficio più spesso – ha scritto Manjoo – dobbiamo fare qualcosa per il commuting giornaliero, un rituale della vita che richiede tempo, emotivamente faticoso, tossico per l’ambiente e costoso. Per molti, il passaggio al lavoro a distanza nell’era della pandemia ha dimostrato che tutto lo spostamento [di prima] non era necessario. [Le persone] Non possono non vedere tutto il tempo sprecato e mettere in discussione la loro moralità non cambierà le cose. Non stanno assumendo una posizione morale; stanno solo facendo un calcolo razionale: possono fare molto di più – nella loro vita lavorativa e nel resto della loro vita – se saltano il commuting quotidiano”.
Il “nuovo” tragitto casa-lavoro in Italia
La buona notizia è che in Italia il commuting sta lentamente diventando un argomento. Una recente edizione del Barometro dell’Osservatorio mobilità di Arval, che fotografa gli usi e i costumi delle organizzazioni in tema di mobilità della popolazione aziendale, ha raccontato un’Italia che ha iniziato a mettersi in moto. Letteralmente.
L’indagine ha rivelato che sette aziende su dieci hanno implementato almeno una soluzione di mobilità “alternativa”, e il 44% (cioè poco meno di una su due) sta valutando soluzioni per “facilitare gli spostamenti di business o il tragitto casa-lavoro dei propri dipendenti”. Inoltre, quasi il 41% degli intervistati è pronto a offrire “servizi di mobilità a 360° ai propri collaboratori per la loro vita professionale e privata”.
- il 70% delle imprese hanno adottato soluzioni di mobilità alternativa
- il 44% vuole facilitare il tragitto casa-lavoro dei propri dipendenti
- il 41% offrirà servizi di mobilità per la vita professionale e privata
Dal commuting a un Employer Branding all-in-one
Più di un indicatore dimostra quindi che il commuting può essere un elemento di grande utilità per le organizzazioni. A patto di saperlo ripensare, adattandolo alle nuove abitudini e ai bisogni emergenti dei lavoratori.
Perché questo avvenga, occorre però ripensare all’origine i modelli organizzativi, prevedendo nuove forme di flessibilità. E soprattutto, occorre comunicare queste iniziative dentro e fuori l’organizzazione. Farne un pilastro della strategia di Employer Branding.
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