Come attrarre i migliori talenti: i 5 lavoratori-tipo che “sfidano” i recruiter
Attrarre i migliori talenti non è più soltanto indispensabile in un contesto globale che impone alle organizzazioni di ritrovare in fretta gli equilibri scossi dalla pandemia. È diventato l’obiettivo minimo per quelle imprese a cui non basta più sopravvivere alla crisi, ma che vogliono tentare in qualche modo di cavalcarla e proiettarsi a pieno titolo nella nuova era del lavoro.
La tendenza ha assunto dimensioni tali per cui è ormai impossibile ignorarla: le persone stanno cambiando lavoro e settore, inseguono progetti alternativi, vanno in pensione prima quando possono o avviano attività in proprio. Talvolta si concedono una kunga pausa per prendersi cura delle loro vite e del loro benessere. Tendenze che stanno avendo un impatto decisivo sui nuovi modelli organizzativi. La concorrenza per ingaggiare le migliori risorse, le poche altamente specializzate e ancora interessate a un impiego nel senso “classico” del termine, rimane quindi spietata.
Come attrarre i migliori talenti: la tradizione non basta
Stiamo insomma assistendo a un fenomeno almeno per dimensioni inedito, e per la prima volta le divisioni HR sembrano non intravederne la fine del tunnel. Così il recruiting sembra essere diventano un sistema a due velocità. Per attrarre i migliori talenti sul mercato c’è chi si affida alle intuizioni alla base della cosiddetta new way of working, e chi, invece, continua a fare affidamento sulle leve tradizionali della ricerca e selezione. Inclusi salari competitivi, benefit economici e opportunità di carriera.
Fattori certamente importanti, ma che non bastano più. C’è un divario strutturale nell’offerta di lavoro perché semplicemente non esistono (quasi) più dipendenti cosiddetti “tradizionali”. Quel che serve oggi alle divisioni HR è una nuova visione dell’attraction e della retention, che consenta di diversificare l’offerta e catturare l’attenzione di una platea diversa, quella di lavoratori sempre più lontani dall’idea classica di lavoro.
I tradizionali metodi di attraction e retention
- Salari competitivi
- Benefit economici
- Opportunità di carriera
Di cosa parliamo quando parliamo di “non-traditional workers”
Per intercettare questa nuova schiera di candidati, e individuarne le preferenze e i gusti, McKinsey ha condotto un ampio sondaggio allo scopo anche di semplificare lo scenario e riassumere a un numero finito le diverse “personas” che compongono oggi il mercato del lavoro. Agli intervistati è stato chiesto i motivi per cui hanno abbandonato il lavoro, o perché avrebbero preso in considerazione l’idea di lasciare l’organizzazione e cosa li avrebbe spinti invece a restare o tornare.
Cosa cercano i “non-traditional workers”
- Flessibilità
- Benessere
- Qualità della vita
Il risultato è straordinario, e ci aiuta a capire perché sono sempre di più le persone che non cedono alle lusinghe dell’aumento di stipendio o dell’avanzamento di carriera. Sebbene la maggior parte degli intervistati apprezzasse molto la flessibilità sul posto di lavoro, differivano nel modo in cui valutavano le diverse opzioni su flessibilità, benessere e qualità della vita. E questo avvalora l’ipotesi che, per attrarre i migliori talenti, non serve una nuova strategia, ma una strategia che ne contenga diverse altre al suo interno. E quante, esattamente? Tante quante i modelli di “personas” presenti dentro e fuori l’azienda.
I lavoratori-tipo: così il recruiting si fa in 5
Per capire come attrarre i migliori talenti al recruiter non resta quindi altra strada che comprendere meglio i desiderata di queste nuove categorie di professionisti e trovare internamente soluzioni idonee per intercettarli. Per questo c’è bisogno di farsi in cinque. Cinque, quanti i profili emersi dal sondaggio della multinazionale americana. Ma di chi parliamo quando parliamo di “lavoratori tipo”? Proviamo a riassumerli.
Le cinque “personas” secondo McKinsey
- I tradizionalisti
- I fai-da-te
- I caregiver
- Gli idealisti
- I rilassati
I tradizionalisti
Sono persone orientate alla carriera che si preoccupano dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, ma sono disposte a fare compromessi per il bene del proprio lavoro. Sono motivati a lavorare a tempo pieno per grandi aziende in cambio di un pacchetto retributivo competitivo e vantaggi economici, un buon ruolo in azienda e un chiaro piano di carriera.
I fai-da-te
Questo segmento raccoglie la maggior parte degli intervistati: apprezzano la flessibilità sopra ogni cosa e per lo più hanno tra i 25 e i 45 anni. Durante la pandemia, lo stress legato al carico di lavoro, i manager tossici, il desiderio di autonomia e la sensazione di non essere apprezzati hanno portato molte persone a cercare qualcosa di diverso, anche attraverso iniziative autonome. Attrarre questa platea per un recruiter può essere difficile, perché in questo caso un’azienda deve essere in grado di dimostrare che ciò che gli sta offrendo è meglio di quanto non abbia già. Per esempio la libertà che questi lavoratori bramano e un lavoro che abbia uno scopo, nonché un pacchetto di compensi più elevati.
I caregiver
Sono lavoratori motivati dalla retribuzione, ma con un’altra costellazione di priorità: flessibilità sul posto di lavoro, sostegno alla salute e al benessere dei familiari e sviluppo di carriera. Hanno un’età per lo più compresa tra i 18 e i 44 anni, sono in prevalenza donne, spesso genitori, insomma un gruppo di lavoratori che ha bisogno di maggiore flessibilità per prendersi meglio cura dei figli, dei genitori e di se stessi. Per loro i luoghi di lavoro poco flessibili e che non forniscono un percorso per l’avanzamento non valgono il sacrificio di tornare al lavoro.
Gli idealisti
Sono studenti o lavoratori part-time, hanno tra i 18 e i 24 anni per lo più liberi da mutui e altre responsabilità. Hanno come priorità la flessibilità e lo sviluppo della carriera. Per attrarli, i recruiter non hanno bisogno di mettersi troppo le mani in tasca: basta mostrare loro la disponibilità ad inserirli in un team di valore, proponendo flessibilità e possibilità di sviluppo futuro.
I rilassati
Sono forse i più difficili da attrarre perché per loro la carriera non viene più prima di tutto e non hanno intenzione di tornare alla vita stressante di prima. Per attrarli, un’organizzazione dovrebbe puntare su proposte dinamiche, che puntino molto sull’aspetto motivazionale, di gruppo, di sfide, più che sulla proposta economica, magari assicurando alla risorsa una flessibilità ancora più incisiva.
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