Chi ha paura della cultura del feedback?

La fine dell’anno è di solito quel periodo in cui le organizzazioni senza una vera cultura del feedback le riconosci perché parlano “soltanto” di business. Di quanto straordinaria sia stata l’evoluzione del fatturato nell’ultimo triennio. E di quali sono gli obiettivi di crescita a breve termine.

Le altre, quelle che hanno capito cosa cercano i collaboratori nel fluido e competitivo mercato del lavoro di domani, ci raccontano invece come sono cambiate le cose negli ultimi dodici mesi anche grazie al contributo di idee delle loro persone.

Se questi due modelli di impresa ti sembrano perfettamente legittimi, allora il consiglio è di tenere gli occhi su questo articolo fino in fondo. Perché [SPOILER] una delle due organizzazioni avrà a breve seri problemi con la ricerca e la selezione del personale.
Dove nasce il bisogno di una cultura del feedback
Quello della mancanza di una cultura del feeback nelle organizzazioni è infatti uno dei temi più sottovalutati dalle divisioni HR italiane. Eppure, se davvero l’esperienza insegna, dovrebbe essere il meno sottostimato. Perché da quando la pandemia ci ha costretti a fare i conti con le sue conseguenze, avremmo dovuto aver capito che ogni passo verso le nostre persone è un passo nella giusta direzione.

Il rischio, insomma, è che con la cultura del feedback ripeteremo gli stessi errori che abbiamo commesso con altri fenomeni che hanno destabilizzato le nostre organizzazioni negli ultimi tempi. Solo per citarne alcuni:

● Great Resignation
● Quiet Quitting
● Talent Scarcity
● Upskilling e re-skilling
● Disengagement
● Job hopping

La sensazione è che ci stiamo rimettendo nella stessa, scomoda posizione di prendere coscienza della gravità di certi fenomeni solo quando hanno già un nome, una forma, e soprattutto stanno già impattando le organizzazioni e le loro prospettive di business.

I vantaggi diretti dell’ascolto nelle proprie organizzazioni
Possiamo immaginare l’obiezione: creare le condizioni per una cultura del feedback nelle nostre imprese, non è un percorso semplice e privo di complicazioni. Vero. E aggiungiamo soprattutto che non è nemmeno qualcosa che si costruisce dall’oggi al domani.

Il punto è che i vantaggi di una strategia di questo tipo sono tali e tanti che nessun HR dovrebbe sottostimare la portata della faccenda. Per questo motivo vogliamo provare a capire insieme quali sono i benefici concreti di una strategia di questo tipo. In ordine sparso:

1. aiuta a correggere i piani e le strategie, risparmiando tempo e denaro
2. migliora l’engagement delle risorse, aumentando la produttività
3. qualifica l’ambiente di lavoro, agendo sul benessere relazionale
4. azzera “zone d’ombra” e non-detti tra i collaboratori, riducendo il turnover
5. accelera la presa di decisioni, evitando fasi di stallo
6. garantisce una reale comprensione dei bisogni, semplificando i processi
7. facilita la definizione delle “personas”, supportando il team HR
Come impostare una cultura del feedback da zero
Lo abbiamo detto: una cultura del feedback non si costruisce dal giorno alla notte. Si tratta di un processo evolutivo lento, graduale, che impone un netto cambio di paradigma alla base. E che per questo non può prescindere dal coinvolgimento di tutti i livelli dell’organizzazione.

Tuttavia esistono delle fondamenta da cui è possibile partire. Quelle che vedremo di seguito sono infatti alcune iniziative utili a creare una discreta base di partenza per un progetto che aumenti il confronto e lo scambio di pareri nelle nostre organizzazioni.
Gli step necessari alla rivoluzione culturale:
● incoraggia i collaboratori e i manager a elaborare costantemente feedback
● evidenzia il valore di feedback “fearless” e che siano continui
● promuovi una cultura della condivisione fornendo strumenti di empowerment
● sfrutta ogni occasione per sottolineare trasparenza e fiducia all’interno e tra i team
● utilizza più canali per il feedback (sessioni in piccoli gruppi, 1:1 o chat interne)
L’arte nobile della gestione del riscontro “negativo”
Ok, arrivati a questo punto possiamo pur far uscire l’elefante dalla stanza. Quando parliamo di cultura del feedback, è soprattutto a quello negativo che ci riferiamo. Sappiamo tutti che i feedback positivi possono essere imperfetti, e l’equilibrio in azienda non ne sarebbe intaccato.

Ma se lo è un feedback negativo, il rischio di escalation è altissimo. Per questo è importante che i manager e le prime linee della nostra organizzazione, su impulso della divisione HR, acquisiscano quella che potremmo definire “l’arte nobile del feedback negativo”. Che poi, perché continuare a chiamarlo negativo? Il primo passo della rivoluzione culturale che ci serve è forse proprio questo: iniziare a chiamarlo “feedback costruttivo”.

Già, ma qual è il modo migliore per gestire questi feedback costruttivi? Scopriamolo insieme attraverso pochi e semplici passi.

● Tempestività: non dovrebbe mai passare troppo tempo tra l’oggetto del feedback e il feedback stesso;
● Precisione: l’oggetto del feedback dovrebbe sempre essere uno, ed esposto nella maniera più chiara possibile (usare esempi specifici);
● Reciprocità: chiedere sempre un parere al termine del feedback, per non lasciare umori in sospeso e aprirsi alla possibilità di un dialogo più chiaro e pacato;
● De-escalation: far comprendere che non si tratta di un giudizio, ma di un supporto attraverso il dialogo (anche se non propriamente richiesto);
● Concretezza: in un feedback costruttivo non dovrebbe mai mancare una componente di concretezza; al termine del riscontro offrire una soluzione alternativa;
● Distanza: un feedback non dovrebbe mai avere sfumature personali; è importante che chi lo offre assicuri sempre una certa neutralità emotiva e riporti tutto all’ambito professionale;
● Parzialità: accettare la parzialità del proprio giudizio, senza rinunciarvi; saranno le figure apicali a validare le due o più versioni e a scegliere la via migliore;
Porta la cultura del feedback nella tua strategia di recruiting
Come tutte le rivoluzioni, quella per introdurre una cultura del feedback in azienda ha radici profondissime. Questa, in particolare, comincia dalla strategia di recruiting.

Un tasto molto più che dolente per molte organizzazioni, viste le difficoltà a reperire sul mercato del lavoro i talenti adatti agli obiettivi di business.

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