Qualcuno ha detto offboarding? Chi tiene ai talenti li “accompagna” all’uscita

Qualcuno ha detto offboarding? Chi tiene ai talenti li “accompagna” all’uscita

Chi l’avrebbe mai detto: l’offboarding! Cioè la cosa più lontana che potesse venirci in mente come punto di partenza per una strategia di engagement. E infatti sarebbe più corretto considerare l’offboarding strategy semmai come uno strumento di re-engagement, più che di engagement tout court. Anzi, per meglio dire, di “great re-engagement”.

Perché è proprio quello che sta avvenendo. Sempre più aziende nel mondo hanno scelto di navigare il cambiamento imposto dalla Great Resignation trasformando l’emorragia di talenti in una opportunità di employer branding.

Il ragionamento alla base è semplice: se non si può fermare l’oceano con le mani, tanto vale sfruttarne la potenza. Studi accademici e ricerche confermano la bontà dell’intuizione. Ecco perchè l’offboarding si candida per diventare l’autentico game changer delle direzioni HR.

Ma a un patto. Anzi, a due. Primo: che venga inserito in una più ampia employee journey roadmap. Secondo: che questa offboarding strategy segua e rispetti un approccio olistico.

In questo articolo proveremo a capire di cosa parliamo nel primo e nel secondo caso.

Offboarding: l’intuizione che serviva

Ora che l’offboarding sta prendendo piede, e che sempre più aziende lo adottano come strategia per creare valore a lungo termine, la domanda che ci si pone è: ma perché nessuno ci aveva pensato prima?

La risposta potrebbe essere più d’una. Ad esempio:

  • perché in Europa la Great Resignation si è manifestata dopo rispetto agli Stati Uniti
  • perché consideravamo la Great Resignation una tendenza passeggera
  • perché è una strategia controintuitiva: per fermare il job hopping, lo rendo migliore
  • perché in Italia il turnover è sempre stato vissuto come un’onta dagli esperti di HR
  • perché i vertici aziendali ancora non riconoscono un ruolo centrale alle direzioni HR

Tutte ragioni plausibili, ma comunque, in qualche misura, autoassolutorie. In fondo le cosiddette “grandi dimissioni” non sono arrivate all’improvviso. Anche prima della pandemia, infatti, i tassi di turnover erano in netta evoluzione. Il mercato del lavoro si stava in sostanza già avviando alla mobilità che registriamo oggi. La pandemia ha solo accelerato il processo.

Approccio accademico: l’offboarding trasforma gli “ex” in alumni

Cosa fare, allora, per trasformare questo problema in una opportunità? Chi ha aperto la strada, concorda nel dire che per un corretto offboarding l’approccio migliore è quello accademico.

Come da sempre avviene nelle università, infatti, chi termina il percorso di studi viene letteralmente accompagnato dall’ateneo nei suoi step futuri. In che modo?

  • offrendo assistenza tecnica e morale nella fase di transizione
  • preparando gli studenti a sfruttare il potenziale anche dopo l’uscita
  • stabilendo un legame anche dopo l’uscita attraverso un “alumni program”

Offboarding strategy: ovvero l’arte della pianificazione

Ma come si traduce tutto questo nelle organizzazioni? Stavolta la risposta corretta è una soltanto: con la pianificazione.

Se vogliono veramente godere dei benefici di una corretta offboarding strategy, le organizzazioni non possono pensare di attivarsi solo quando il collaboratore formalizza ufficialmente il suo desiderio di cambiare aria.

Bisognerà, al contrario, promuovere una serie di azioni in grado di dare i frutti sperati al momento del bisogno. In sostanza, fin dal momento dell’ingresso del collaboratore in azienda, quest’ultima avvia – attraverso una employee journey strategy – un piano per prepararsi al “distacco”. Un piano che possiamo riassumere in tre passaggi:

  1. pianificare in anticipo le partenze dei collaboratori
  2. riconoscere i meriti e offrire strumenti concreti a tutti i talenti in uscita
  3. creare una piattaforma per mantenere sempre attivo un canale con gli “ex”

Come si implementa una strategia di offboarding

1.    Pianificare in anticipo le partenze dei collaboratori

È importante avere conversazioni aperte e sincere durante il tempo che i collaboratori passeranno in azienda. Allo scopo di tenere monitorato il sentiment di ciascun collaboratore e conoscere sempre i loro obiettivi e le prospettive di evoluzione professionale.

2.    Riconoscere i meriti e offrire strumenti concreti ai talenti in uscita

Quando un collaboratore sceglie di andarsere, attraverso i manager le aziende dovrebbero inoltre riconoscere apertamente il loro contributo offerto allo sviluppo dell’azienda. E accompagnare questa fase fornendo gadget o piccoli benefit per sostenerli durante la transizione. Ancora più utile sarebbe sfruttare i colloqui in uscita come una opportunità di apprendimento reciproco.

3.    Creare una piattaforma per mantenere sempre attivo un canale con gli “ex”

Non meno importante per il successo di una offboardind strategy è la creazione di programmi interamente dedicati agli ex collaboratori. Piccoli eventi o momenti di condivisione informale utili a mantenere gli ex collaboratori “legati” all’organizzazione.

Messe insieme, tutte queste pratiche di offboarding possono rappresentare una importante leva strategica di sviluppo di employer branding a medio termine. Il motivo? Perché consentono di creare un gruppo di ex dipendenti, che saranno al tempo stesso anche clienti, fornitori, potenziali nuovi collavoratori, mentor per i neo assunti e possibili “ambassador” del valore aziendale.

A ognuno il suo offboarding

Sbaglia, però, chi pensa che una offboarding strategy si possa applicare indistintamente al neo assunto come al veterano. Al manager che va ad assumere un ruolo di maggiore prestigio come allo specialist che fa job hopping per motivi personali.

Così come per il corporate wellbeing, anche per l’offboarding vale la regola “one-size-doesn’t-fit-all”. La strategia dovrebbe infatti variare a seconda di molti fattori, quali:

  • ruolo in azienda
  • anzianità
  • tipo di contratto (full time/part time)
  • motivi della scelta
  • circostanze legate alla fine del rapporto

Una “strategy” per evitare l’impatto emotivo

Chi gestisce una divisione HR, e ha avuto esperienze in più organizzazioni, lo sa bene. Che l’azienda abbia 5, 50, 500 o 5.000 collaboratori, una partenza è sempre una partenza. Per questo un approccio olistico alla strategia di offboarding aiuta anche ad evitare l’impatto emotivo.

Senza scadere nell’ampollosità della burocrazia – che potrebbe comprometterne alla base l’efficacia – il rispetto di una roadmap ben definita aiuta l’organizzazione a garantire sempre una transizione ordinata delle persone. E ad assicurare la soddisfazione reciproca.

Quando neanche l’offboarding è sufficiente

Implementare una Employee Journey Roadmap con una strategia di offboarding può aiutare l’organizzazione a contrastare gli effetti del job hopping nel medio-lungo termine.

Ma in un mercato che cambia a ritmi impressionanti, la pianificazione deve coinvolgere tutti gli aspetti della vita del collaboratore, non soltanto il suo recruiting.

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