Il ruolo dell’Employee Journey Roadmap nella strategia “people centered”
Partiamo dalla cosa più semplice. Partiamo dalla definizione. Employee Journey Roadmap: ovvero la capacità di identificare i momenti più significativi del percorso di una persona all’interno dell’organizzazione e renderli memorabili.
Il difficile, però, viene adesso. Perché si tratta di tradurre questa formula nell’attività quotidiana di una qualsiasi direzione HR. Ma sbaglia chi pensa che la difficoltà derivi da una scarsa sensibilità delle risorse umane verso le proprie persone. Perché non è così.
Basta guardarsi intorno, infatti, per capire che non c’è più un’azienda in circolazione che non parli della centralità dei suoi collaboratori come di una fondamentale leva strategica di sviluppo. Ed è giusto così.
Eppure, quando poi chiedi a quelle stesse aziende com’è organizzata, da loro, l’employee journey roadmap, quelle che confessano di averne una sono veramente (ma veramente) poche.
Employee journey roadmap: la strategia è tutto
Viene allora da chiedersi: perché tanta difficoltà nel tradurre dalla teoria alla pratica il principio di centralità dei collaboratori? Cos’è che manca a queste imprese per definire una mappa dei momenti cruciali della vita in azienda delle proprie persone?
Escluse – una volta tanto – ragioni di budget, possiamo dire che a mancare stavolta non è neppure il tempo. Le stesse attività di cui è fatta una EJR vengono infatti spesso già svolte in azienda. Sebbene in maniera randomica e all’interno di una confusionaria strategia di employee experience.
E allora, cos’è che manca a queste aziende? Risposta: a mancare è una visione strategica. O, meglio, a mancare talvolta è la consapevolezza dell’importanza di un’efficace employee journey roadmap in una più ampia strategia “people centered”.
Con questo articolo vogliamo aiutare a fare proprio questo: mostrare la centralità dell’employee experience nel quadro di una people oriented strategy.
L’approccio “data driven” all’employee experience
Per cominciare bene una employee journey roadmap, però, servono i dati. Ma non i soliti dati. Non c’èntra il marketing qui. Né le vendite. Infatti, se l’EJR è pensata per migliorare l’esperienza delle vostre persone, è a loro che dovrete rivolgervi per sapere dove intervenire.
L’obiettivo di questa prima fase di ricognizione sarà infatti comprendere i momenti che hanno “marcato” l’experience delle vostre risorse. Fare – letteralmente – il censimento delle loro testimonianze. Niente che una survey interna ben strutturata non possa aiutarvi ad individuare. A cosa servirà questo lavoro di verifica? Vediamolo insieme.
A cosa serve la survey:
- per capire quali sono stati i momenti rilevanti per i vostri collaboratori;
- per conoscere l’esito di alcune iniziative di employer branding;
- per testare il sentiment delle persone nelle diverse fasi della storia aziendale;
- per misurare il livello generele dell’experience offerta;
- per analizzare meglio fenomeni come assenze, turnover, produttività, engagement;
Conoscere il sentiment delle persone nelle diverse fasi della loro storia in azienda, consente alla direzione HR di comprendere meglio il modo in cui l’experience è correlata a fenomeni come assenze, quiet quitting, picchi di produttività, turnover o cali generali di engagement.
Le fasi di una employee journey roadmap efficace
Non possiamo naturalmente conoscere in anticipo i risultati di queste survey. Ma in aziende senza una employee journey roadmap strutturata i momenti cruciali dell’employee experience sono grosso modo quasi sempre gli stessi. Ripassiamoli insieme.
I “classici” step della employee experience:
- Hiring
- Acquisition
- Onboarding
- Learning/development/growing
Per molti HR il “viaggio” del collaboratore all’interno dell’organizzazione comincia dopo l’offerta di lavoro, ma noi sappiamo che non è così. Sono molti infatti i talenti che si legano alla propria azienda dalla lettura dell’annuncio di lavoro. Cioè fin dal primissimo contatto. Come una sorta di imprinting professionale.
Il primo momento di interazione diventa dunque l’hiring. Una volta avvenuto il contatto azienda-candidato, inizia il corteggiamento per fare di quest’ultimo un futuro collaboratore. E siamo all’acquisition: ovvero al momento in cui l’azienda formalizza “la sua promessa” e sottoscrive il doppio-contratto con il suo nuovo collaboratore: quello ufficiale e quello psicologico.
Mai sottovalutare l’importanza di questo momento. Perché la delusione e il dis-engagement si genera soprattutto sulle aspettative mal riposte.
EJR: l’arte di mantenere le promesse ai candidati
Sull’importanza di mantenere le promesse fatte ai candidati stanno soprattutto i due step centrali dell’employee experience: l’onboarding e la fase (che può durare anche anni) di learning, development e di growing.
Nella prima, la persona entra letteralmente a far partre dell’ecosistema aziendale. Ne abbraccia la cultura e i valori, e ne diventa a sua volta un testimone. Anche l’onboarding diventa cruciale nella employee journey roadmap perché è di fatto la fase in cui quelle promesse possono trovare un immediato riscontro.
Ma a determinare veramente il rispetto delle aspettative è soprattutto l’altro step, quello che abbiamo definito di learning/development e di growing. Perché nella fase di crescita e di sviluppo il collaboratore matura di solito una piena consapevolezza delle proprie competenze. Sicurezza che poi lo porterà a chiedersi durante tutto il suo percorso se sono ben investite oppure no.
Aggiungere due fasi all’employee journey roadmap
E qui entra in gioco tutta l’importanza strategica di una divisione HR. Perché è proprio quando la fase di corteggiamento finisce e subentra un calo fisiologico nel rapporto azienda-collaboratore, che una EJR diventa fondamentale.
Il nostro consiglio, in questo caso, è di aggiungere due fasi alla vostra employee journey roadmap. Queste:
- Countinous attracting
- Offboarding
Nel primo caso, quando si iniziano a intravedere le prime crepe o i primi potenziali rischi di crepa nella relazione con una o più persone in azienda, l’HR deve intervenire. Ma come? Mettendo appunto in campo soluzioni, iniziative, incentivi (non necessariamente di natura economica, anzi) per invitare il collaboratore a riflettere su quanto valga in effetti ancora la pena continuare a credere nel proprio lavoro e nella organizzazione che glielo offre.
Parliamo ad esempio di politiche di corporate wellbeing, che mettono il benessere delle persone al primo posto. Ma anche di incentivi più diretti. Come nuove esperienze interne all’organizzazione o la possibilità di una maggiore flessibilità nella gestione del lavoro.
E poi c’è l’offboarding. Cioè l’insieme di piccole, grandi azioni per “accompagnare all’uscita” un collaboratore che ritiene conluso il proprio percorso in azienda. Compito della direzione HR sarà in quel caso quello di rendere il momento del distacco quanto più gradevole e di valore possibile. Perché quella risorsa si trasformi nel giro di poco tempo da ex collaboratore ad “ambassador” dell’employee value proposition.
Dall’employee journey roadmap al meglio del recruiting marketing grazie a Monster
Riflettere sull’importanza di una employee journey roadmap in azienda significa però anche porsi le giuste domande sulla propria strategia di recruiting.
La prima è senz’altro la più scontata: la mia organizzazione sta andando nella giusta direzione in ottica di ricerca e selezione del personale? Dove per “giusta direzione” si intende la qualità (ma come abbiamo visto anche la quantità) dei profili più in linea con le esigenze di business dell’organizzazione.
In Monster conosciamo la centralità di questo interrogativo, specie in un’epoca di talent scarcity come questa. Conosciamo quindi anche l’impatto che un recruiting fallimentare comporta in termini di costi. Ecco perché abbiamo creato Pay for Performance.
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