Il gender pay gap e il suo impatto sulla talent acquisition

Il gender pay gap, o divario retributivo di genere, rappresenta la differenza tra la retribuzione media percepita da uomini e donne a parità di ruolo, livello di competenza e responsabilità. È una delle espressioni più visibili della disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro, ma anche una delle più insidiose, poiché spesso si cela dietro strutture organizzative consolidate, dinamiche culturali e bias inconsci. Viene indicato anche con termini come earning gap, disparità salariale o differenza salariale uomo-donna, e continua a essere al centro del dibattito pubblico, legislativo e manageriale, nonostante le numerose iniziative di sensibilizzazione e le normative introdotte in molti Paesi.
In termini pratici, il gender pay gap non riguarda solo la differenza di stipendio netto, ma è il risultato di una serie di fattori strutturali, come la segregazione occupazionale, l’accesso diseguale alle opportunità di carriera, la minor rappresentanza femminile nei ruoli apicali e la maggiore incidenza di part-time involontario tra le donne.
Un altro aspetto critico riguarda la discontinuità di carriera femminile. Le donne sono spesso costrette a rallentare o interrompere il percorso professionale per motivi legati alla maternità o alla cura dei familiari, fattori che influenzano direttamente l’accesso a promozioni e aumenti salariali. Inoltre, diversi studi mostrano che le donne tendono a negoziare meno i propri stipendi rispetto agli uomini e sono meno rappresentate nelle fasi decisionali della contrattazione economica, contribuendo a consolidare la disparità.
Nel contesto aziendale, il gender pay gap non è solo un indicatore di disuguaglianza, ma un problema strategico che impatta direttamente su employer branding, attrazione dei talenti e retention. I lavoratori – in particolare le nuove generazioni – sono sempre più attenti ai valori di trasparenza e inclusività delle aziende. Le organizzazioni percepite come non eque rischiano non solo di perdere talenti femminili altamente qualificati, ma anche di vedere compromessa la propria reputazione sul mercato.
Inoltre, in un contesto di skills shortage e competitività crescente, ignorare il gender pay gap può generare costi indiretti elevati: alta rotazione del personale, minor engagement, difficoltà a costruire un team diversificato e innovativo. Investire nella parità salariale, quindi, non è solo una questione etica, ma un fattore di successo aziendale a lungo termine.
Nel corso di questo articolo, approfondiremo il significato del gender pay gap, i suoi impatti concreti sulle aziende e sulla talent acquisition, e illustreremo strategie e strumenti che i recruiter e le PMI possono adottare per misurare, prevenire e colmare il divario retributivo di genere, anche in contesti con risorse limitate.
Le aziende che ignorano il gender pay gap
Le aziende che ignorano la questione del gender pay gap si espongono a una serie di conseguenze concrete, misurabili e dannose per il proprio business. Non è solo un problema di equità ma strategico che incide direttamente sulla competitività, sulla capacità attrattiva e sulla sostenibilità delle imprese.
Le aziende che non affrontano in modo proattivo questa disuguaglianza rischiano di:
- Perdere competitività sul mercato del lavoro, attirando un numero inferiore di candidature qualificate, in particolare tra le donne. Le lavoratrici sono sempre più attente alla trasparenza salariale e alla coerenza tra i valori dichiarati dalle aziende e le pratiche reali. Un gender pay gap evidente, o percepito, può scoraggiare l’ingresso di talenti femminili nei settori strategici o in ruoli chiave.
- Compromettere la retention dei talenti, soprattutto tra le professioniste più giovani, istruite e ambiziose, che non si accontentano di un ambiente di lavoro formale ma non realmente equo. Il mismatch tra aspettative e realtà retributiva può spingere le risorse ad abbandonare l’organizzazione, aumentando i costi di turnover e generando una perdita di know-how.
- Subire danni reputazionali, con conseguenze sull’employer branding e sulla capacità di attrarre nuovi candidati, partner o investitori. In un’epoca in cui le aziende sono costantemente valutate anche per i loro comportamenti sociali e inclusivi, un divario salariale marcato può compromettere la credibilità del brand e ridurre l’engagement interno ed esterno. Questo vale in particolare per i settori ad alta competizione e per le imprese che si rivolgono alle nuove generazioni, sempre più attente alla parità di genere.
- Esporsi a cause legali o sanzioni, nei Paesi in cui la normativa prevede obblighi sulla parità retributiva, come Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e, più recentemente, l’Unione Europea nel suo insieme. La Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, ad esempio, impone alle aziende di rendere noti i criteri retributivi e di garantire la parità salariale a parità di mansione e competenza. In caso di inosservanza, sono previste sanzioni, azioni collettive e inversione dell’onere della prova nei contenziosi.
Ma le implicazioni vanno oltre la compliance. Pagare meno le donne significa rinunciare a una parte significativa di valore e potenziale interno. Numerosi studi – tra cui quelli del World Economic Forum, McKinsey e Catalyst – dimostrano che le aziende con maggiore equilibrio di genere nei ruoli apicali registrano risultati migliori in termini di innovazione, redditività e clima aziendale. La diversità di prospettive, esperienze e approcci cognitivi migliora il decision-making, stimola il pensiero critico e rafforza la resilienza organizzativa.
Infine, è fondamentale considerare che un gender pay gap non risolto genera malcontento interno, alimenta la sfiducia verso il management e può erodere il senso di appartenenza. La parità retributiva è uno dei segnali più concreti di rispetto e riconoscimento del valore professionale. Dove manca, il rischio è che si crei un ambiente percepito come ingiusto, in cui il talento femminile non trova spazio per crescere, contribuendo a perpetuare il divario anziché colmarlo.
In sintesi, colmare il gender pay gap non è solo un dovere sociale, ma una leva economica e strategica per le aziende che vogliono attrarre, valorizzare e trattenere i migliori talenti, distinguersi come employer responsabili e aumentare il proprio impatto competitivo nel lungo periodo.
Equità retributiva: come garantirla nei processi di recruiting
L’equità retributiva è un tassello fondamentale sin dalle prime fasi del processo di recruiting per prevenire il perpetuarsi del gender pay gap e costruire una cultura aziendale basata su inclusione, merito e trasparenza. I recruiter e gli HR manager hanno una responsabilità strategica nel definire e applicare pratiche di selezione e offerta che non solo siano imparziali, ma che contribuiscano attivamente a ridurre le disuguaglianze esistenti.
Ecco alcune strategie chiave e suggerimenti operativi:
- Definire griglie salariali trasparenti e strutturate
Le trattative salariali individuali possono sfavorire i candidati appartenenti a gruppi sottorappresentati, in particolare le donne. Per questo è importante: - Predisporre fasce retributive standard per ogni ruolo e livello di seniority, basate su benchmark di settore.
- Comunicare in fase di selezione la fascia di retribuzione prevista, promuovendo una cultura della trasparenza fin dal primo contatto.
- Utilizzare queste griglie come guida anche per promozioni e rinegoziazioni interne, riducendo la soggettività nei percorsi di carriera.
- Eliminare la richiesta dello storico salariale
Chiedere al candidato quale fosse il suo stipendio precedente può contribuire a cristallizzare disparità pregresse. Le donne, che statisticamente partono da retribuzioni inferiori, rischiano di ricevere offerte sotto la media anche quando le competenze sono elevate. Una buona prassi è: - Concentrarsi sulle competenze, sulle esperienze e sull’impatto potenziale del candidato, non sul suo passato salariale.
- Utilizzare benchmark aggiornati e dati di mercato per stabilire l’offerta economica.
- Formare i recruiter sui bias inconsci
I pregiudizi inconsci possono influenzare tutte le fasi della selezione: dalla valutazione del CV, al tono dell’intervista, fino alla definizione dell’offerta. Per contrastarli è utile: - Organizzare sessioni periodiche di diversity training focalizzate sui bias di genere, razza, età e background culturale.
- Inserire nei team di selezione figure con sensibilità e competenze D&I
- Introdurre checklist standard per l’intervista, così da valutare tutti i candidati sulla base degli stessi criteri.
- Scegliere strumenti digitali e software di selezione equi
L’uso di ATS e software di screening basati su intelligenza artificiale può facilitare i processi, ma è fondamentale che questi strumenti siano progettati in ottica inclusiva. - Verifica che gli algoritmi non siano addestrati su dati storici distorti che riflettono pratiche discriminatorie del passato.
- Valida regolarmente i risultati dei tool di selezione per identificare eventuali pattern di esclusione impliciti.
- Preferisci soluzioni che consentano “l’anonymizzazione dei CV”, per evitare che il genere influenzi le prime fasi di valutazione.
- Monitorare i dati e le metriche del processo di selezione
Per garantire coerenza tra le intenzioni e i risultati, è essenziale misurare l’impatto delle politiche D&I nei processi di recruiting. - Traccia la composizione di genere nei vari step del funnel di selezione (applicazione, colloqui, offerte, assunzioni).
- Analizza la distribuzione delle offerte salariali in base al genere, per individuare eventuali scostamenti sistemici.
- Integra KPI legati alla gender equity nei report HR, coinvolgendo i manager nella lettura e nella correzione degli eventuali gap.
In sintesi, garantire equità retributiva nella selezione è possibile anche con risorse limitate, ma richiede attenzione, metodo e una cultura HR orientata al lungo termine. Per i recruiter, significa andare oltre la semplice ricerca del profilo “perfetto” e contribuire attivamente alla costruzione di un ambiente di lavoro più giusto, attrattivo e sostenibile, dove ogni persona venga valorizzata a prescindere dal genere.
Monitorare e correggere il gender pay gap in azienda
Monitorare e correggere gender pay gap in azienda non può limitarsi a iniziative sporadiche o a dichiarazioni di principio. Richiede un approccio strutturato, continuativo e integrato nella strategia HR e organizzativa ottenendo un vantaggio competitivo.
Per gestire concretamente il tema, le aziende che vogliono distinguersi per responsabilità e visione possono mettere in atto alcune azioni chiave:
- Condurre audit retributivi periodici per mappare le retribuzioni effettive per ruolo, seniority e genere, individuando eventuali discrepanze non giustificate da performance o responsabilità.
- Integrare KPI e dati sulla diversity e sulla parità retributiva nei sistemi di reportistica HR, monitorando indicatori come retribuzione media per genere, tasso di promozione e distribuzione dei bonus.
- Formalizzare criteri chiari per la salary review, comunicandoli in modo trasparente a manager e dipendenti per ridurre trattative soggettive e bias inconsci.
- Assicurare percorsi di carriera equi, garantendo a tutte e tutti accesso a formazione, progetti strategici e opportunità di crescita, anche in caso di carriere non lineari.
- Coinvolgere il top management nella promozione attiva della parità retributiva, rendendolo partecipe di audit, comunicazioni e policy, e collegando eventualmente parte dei bonus manageriali ai risultati in ambito D&I.
Spesso si pensa che per tutte queste azioni siano necessari grandi investimenti ma ogni PMI può iniziare a costruire un ambiente di lavoro più equo. La chiave è la coerenza tra azioni e cultura aziendale: promuovere la parità retributiva e l’equità di genere non è solo un obiettivo etico, ma una leva strategica per attrarre talenti, migliorare il clima interno e generare valore nel lungo termine.
Le PMI, spesso sono convinte di non avere le risorse per occuparsi di questi temi, possono adottare soluzioni semplici ma efficaci per ridurre il divario retributivo senza stravolgere il proprio assetto interno. Ecco alcune azioni low-cost da cui partire:
- Introdurre una checklist retributiva per ogni nuova assunzione o promozione, così da prevenire squilibri in fase di offerta economica.
- Creare un piccolo comitato D&I interno, anche informale, per discutere periodicamente di parità e proporre micro-azioni di miglioramento.
- Utilizzare strumenti gratuiti o open source per effettuare un’analisi di benchmark salariale di base.
- Pubblicare un breve report interno annuale, anche in formato sintetico, che evidenzi i dati retributivi aggregati e gli eventuali interventi attuati.
- Organizzare momenti di sensibilizzazione interni, come brevi workshop o contenuti condivisi sul tema della parità salariale, sfruttando risorse gratuite online.
Anche piccoli gesti, se coerenti e visibili, contribuiscono a costruire una cultura aziendale fondata sull’equità. Le PMI che decidono di iniziare questo percorso dimostrano non solo attenzione al benessere delle persone, ma anche un posizionamento moderno e attrattivo agli occhi di nuovi talenti, in particolare quelli più giovani e sensibili ai valori di giustizia e trasparenza.
L’employer branding e il suo ruolo nella lotta al divario salariale
Un employer branding efficace può fare molto per ridurre il gender pay gap, soprattutto in fase di attrazione dei talenti.
Nel contesto attuale è diventato uno strumento cruciale non solo per attrarre talenti, ma anche per comunicare i valori e l’identità di un’azienda. Tra questi valori, il gender pay gap assume un peso sempre maggiore, soprattutto per le nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori che valutano con attenzione la trasparenza, l’equità e l’inclusività di un’organizzazione prima di scegliere un posto di lavoro. Il gender pay gap, infatti, non è più percepito solo come un problema interno da correggere, ma come un indicatore della cultura aziendale nel suo complesso.
Per questo motivo, investire in un employer branding autentico e orientato all’equità può diventare una leva efficace per ridurre le disuguaglianze di genere, fin dalla fase di attrazione dei talenti. Le aziende che comunicano in modo chiaro il proprio impegno contro il gender pay gap riescono a generare maggiore fiducia, credibilità e coinvolgimento. Non si tratta solo di pubblicare dichiarazioni di principio, ma di raccontare in modo concreto le azioni intraprese, i progressi fatti e le sfide ancora da affrontare.
Ad esempio, rendere visibili i dati sul gender pay gap, integrandoli nei bilanci di sostenibilità o nelle pagine di carriera aziendale, è un gesto di trasparenza che può distinguere un’organizzazione in un mercato sempre più attento a questi aspetti.
Un altro elemento chiave è la coerenza tra comunicazione interna ed esterna: le campagne di employer branding devono essere inclusive non solo nei contenuti, ma anche nelle immagini, nel linguaggio e nella rappresentazione visiva della diversità. Mostrare una forza lavoro variegata, in cui donne e uomini occupano ruoli di responsabilità in modo equilibrato, è un segnale forte di coerenza e di impegno reale.
Infine, l’employer branding inclusivo non è solo uno strumento di attrazione, ma ha un impatto diretto sulla retention dei talenti. Le persone che percepiscono coerenza tra i valori dichiarati e l’esperienza lavorativa quotidiana sono più motivate, più fidelizzate e più inclini a diventare ambassador del brand aziendale. In questo senso, l’impegno contro il gender pay gap non è solo una battaglia di principio, ma una vera e propria strategia di valore per rafforzare il posizionamento dell’azienda come datore di lavoro moderno, equo e responsabile.
Quindi cosa si evince da tutto questo? Colmare il gender pay gap è molto più di una questione di numeri: è un indicatore tangibile della cultura aziendale, del grado di maturità organizzativa e della capacità di un’impresa di evolvere in sintonia con i cambiamenti sociali ed economici. Dove esiste disparità retributiva, spesso esistono anche altri squilibri più profondi: nella distribuzione delle opportunità, nei percorsi di carriera, nel riconoscimento delle competenze.
Affrontare il divario salariale significa, prima di tutto, mettere le persone al centro. Significa riconoscere il valore del talento a prescindere dal genere e costruire ambienti di lavoro in cui tutte le professionalità possano esprimersi liberamente e crescere su basi meritocratiche. Ma è anche una scelta strategica. Le aziende che si impegnano concretamente per l’equità:
- Attraggono candidati più motivati, attenti ai valori aziendali.
- Migliorano il proprio employer branding e la reputazione sul mercato.
- Aumentano il senso di appartenenza e la motivazione interna, con effetti positivi sulla retention.
- Potenziano la capacità di innovazione e la produttività dei team, grazie a una maggiore diversità di prospettive.
Per i recruiter, il gender pay gap è un tema che attraversa ogni fase del processo di talent acquisition: dalla redazione di un job posting inclusivo, alla definizione delle offerte economiche, fino alla progettazione di piani di crescita coerenti. Monitorare, prevenire e correggere gli squilibri retributivi è parte integrante di un approccio HR moderno e data-driven, capace di generare valore nel tempo.
Per le PMI, spesso penalizzate da risorse limitate e strutture HR snelle, il rischio è quello di rimandare o sottovalutare il problema. Ma oggi esistono strumenti, piattaforme e strategie low-cost in grado di fare la differenza. Anche un piccolo cambiamento – una policy più trasparente, una revisione dei criteri di selezione, un audit retributivo – può segnare un punto di svolta nella costruzione di una cultura aziendale più equa e credibile.
E proprio per chi vuole ottimizzare il budget HR senza rinunciare alla qualità e all’impatto delle proprie azioni, è fondamentale affidarsi a partner che condividano una visione orientata ai risultati e all’inclusione.
Con il servizio Pay-for-Performance di Monster, le aziende pagano solo per i risultati concreti ottenuti in termini di candidati attivi. È una formula trasparente, misurabile e perfettamente in linea con le esigenze delle imprese che vogliono investire in un recruiting efficace, sostenibile e inclusivo.
In un mercato del lavoro sempre più competitivo, ridurre il gender pay gap non è solo la cosa giusta da fare: è anche la più intelligente. Perché un’organizzazione capace di valorizzare equamente i suoi talenti è un’organizzazione più forte, più attrattiva e più pronta per le sfide del futuro.