Fate gruppo in azienda? Ottimo. Ma non chiamatelo Team.
Le immagini dell’ultimo appuntamento aziendale ce le avete ancora impresse negli occhi: ambiente disteso e conviviale, colleghi che si scambiano impressioni extra professionali lontano dal management, altri che fanno attività di gruppo, meglio se sportive, e sullo sfondo un clima generale di grande affiatamento. Bene, adesso alzi la mano chi pensa che questo sia “fare squadra”. Giù quelle mani. Questo è esattamente il genere di cose che meno si avvicinano al fare squadra. D’accordo, servono anche momenti così nell’economia generale di un’organizzazione, non stiamo dicendo questo, ma – guardiamoci negli occhi – un team, un vero team, è un’altra cosa. E se ti occupi di risorse umane, non puoi continuare ad ignorarlo a lungo.
Molte aziende continuano infatti a mistificare il valore di un team in termini produttivi, alimentando più o meno implicitamente la competizione tra dipartimenti e tra elementi dello stesso dipartimento. E questo nella convinzione suggestiva (ma effimera) che sia la concorrenza il migliore catalizzatore per un lavoro produttivo e di qualità. In qualche caso può anche darsi, ma se accettate questo, allora preparatevi a un continuo ricircolo di professionalità. Perché quello che poggia su queste basi, sarà sempre un sistema tossico. E pertanto destinato all’implosione.
Aumentare la fiducia tra i membri di un gruppo di lavoro, e, meglio ancora, tra membri di dipartimenti diversi tra loro: ecco invece cosa serve a un vero team. La fiducia, e non la competizione, è il booster naturale alla tua attività di gruppo.
Ma per tutte le comunità che si rispettino, anche per quelle in vitro servono regole. Poche. Precise. Chiare. Rispettate da tutti.
Ne abbiamo messe in fila alcune, partendo dalla prima, e più importante:
- i team si creano con dei progetti, piccoli o grandi, meglio se cross-dipartimentali: gli aperitivi in terrazza e gli sport di squadra usateli per festeggiare i risultati ottenuti
- per creare un team ci vuole tempo e, soprattutto, la partecipazione del management
- anche per i progetti minori, serve individuare leader in grado di gestire e motivare
- occorre avere obiettivi chiari, che si traducano cioè in azioni concrete e in ruoli prestabiliti
- promuovere una vista d’insieme, perché tutti sappiano cosa succede a un palmo da loro naso
- spiegare all’inizio tanto l’obiettivo quanto le restrizioni: budget, tempi, processi di approvazione
Più le aziende sono grandi, maggiore può essere la portata del loro problema, ma anche migliori i progetti da poter mettere in cantiere. Le grandi organizzazioni sono infatti quelle che più di altre pagano lo scotto di ragionamenti fatti a comparti stagni. Superare le frontiere dipartimentali è, infatti, per queste, il più grande degli ostacoli. E finiscono così per organizzare appuntamenti come quelli descritti in apertura di articolo. Occasioni che serviranno magari anche a raccogliere un numero notevole di dipendenti nello stesso luogo nello stesso momento, ma che hanno rilevanza zero in termini di coesione.
Una soluzione, potrebbe essere quella di organizzare, al posto di un unico grande appuntamento da 100 invitati, 25 micro appuntamenti da 4 invitati, e spalmarli in un arco maggiore di tempo. Provate solo per un istante a pensarci: quattro persone riunite intorno a un tavolo con il pretesto di un progetto, scambieranno per forza informazioni migliori, e più precise, che a bordo piscina, e in mezzo a un mare di altri colleghi.