Contro il "sì giapponese": come imparare a dire di No alle richieste al lavoro

Soddisfare ogni esigenza piovuta “dall’alto” genera insoddisfazione e incide negativamente sulla produttività: quando rifiutarsi di aiutare un capo o un collega fa meglio a noi e all’azienda.
La Cina sarà pure vicina, ma anche il Giappone, a quanto pare, si è fatto sotto un bel po’. Non si spiega, altrimenti, questa inclinazione che abbiamo sviluppato a rispondere sempre Sì a ogni richiesta che ci arriva al lavoro.
Avete presente? «Avrei bisogno del tuo aiuto con un cliente», e noi: pronti!. «Avresti due minuti da accordarmi?» : ovvio, neanche a dirlo. «Potresti rileggere un secondo la mia presentazione/mail prima che la invii?» : figurarsi, mi stavo giusto chiedendo come ritardare ancora le mie consegne per oggi! E via di questo passo. All’infinito.
Risultato: la nostra produttività arranca ; le scadenze si sommano le une alle altre; il tempo stringe; l’approssimazione prende il sopravvento; l’insoddisfazione satura l’aria intorno alla postazione di lavoro e quel che è peggio, i livelli di cortisolo nel sangue quasi eguagliano quelli dell’ossigeno.
In altre parole: ci si sente di colpo inappagati, irascibili e mai all’altezza degli sforzi richiesti. E tutto questo, per aver detto sempre e solo Sì.
Cioè quello che fanno, da secoli, i giapponesi. Per i quali un rifiuto (di ogni genere, in ogni ambito) destabilizza l’armonia del gruppo: in una società che enfatizza la coesione sociale, non proprio una roba da niente. Un interlocutore venuto da quelle parti farà di tutto per non dire mai direttamente di No : un modo per mostrare il massimo rispetto per la persona che gli sta di fronte.
Ora, passi in una cultura forgiata sull’impronta confuciana e sul rispetto quasi militare per le relazioni verticali, ma noi, con tutto questo, di preciso, che cosa c’entriamo? Cosa ci prende in quei momenti? Quale ingranaggio della logica si inceppa per non riuscire a dire No, mentre ogni cosa intorno a noi ci suggerisce che è quella la sola risposta possibile?
Paura di irritare l’interlocutore, di ostacolare l’integrazione col resto del gruppo, timore di non essere abbastanza aziendalista o, peggio, di guastare i rapporti con superiori e colleghi: tutte obiezioni sensate, va bene. Ma, sapete che c’è?, non bastano. Perché sull’altro piatto della bilancia, a vestire i panni del perfetto “yes man”, c’è un rischio perfino peggiore. Quello di essere associati all’immagine di professionisti mediocri.
La buona notizia è che a dire No sul posto di lavoro si può imparare. Certo, è un processo che richiede tempo e qualche sacrificio. In fondo, si tratta di rompere una rete di consuetudini tessuta negli anni ; sedimentata come una stalattite lontano dalle attenzioni del mondo, goccia dopo goccia, nel perpetuo rinnovarsi di una disponibilità - la nostra - ossequiosa e incondizionata. Insomma, un lavoraccio.
Per riuscire nell’impresa, abbiamo quindi messo insieme qualche consiglio pratico, tra i tanti raccolti nel libro “ La 25esima ora, i segreti di produttività di 300 startup che funzionano ”, di Guillaume Declair, Bao Dinh e Jérôme Dumont. Due o tre modi per imparare a dire No alle richieste al lavoro, evitando di offendere l’interlocutore di turno e facendo in modo che il rifiuto non ci danneggi troppo.
Primo: imparate a proteggere il vostro tempo produttivo.
Dire No al lavoro vuol dire anche questo. È essenziale sul lavoro imparare a rendersi, in un certo senso, irreperibili: ovvero impermeabili alle mille sollecitazioni esterne (mail, notifiche, chat aziendale, colleghi che chiamano dall’altra stanza, capi che entrano senza chiedere permesso). Come fare? Abbandonate la vostra postazione, uscite dal vostro ufficio, prenotate per due ore la sala riunioni e chiudetevi lì dentro. In alternativa, chiudete la porta del vostro ufficio e usate un post-it per comunicare che siete indisponibili fino alle… Oppure lasciatela aperta, quella porta, ma istituite un codice con i vostri potenziali disturbatori: se sulla porta/scrivania (o nello status intranet) c’è, per dire, una lampadina, allora vuol dire che state producendo: che entrino (o scrivano) solo per le urgenze quotidiane. Per tutto il resto, tornerete certamente ad ascoltarli non appena avrete finito il vostro. In quel caso, ricordate, voi per primi, di rispettare i vostri stessi codici.
Secondo: fate un elenco preciso dei vostri obiettivi settimanali.
Per imparare a proteggere la propria produttività, occorre, prima di tutto, prepararsi a farlo. Il che vuol dire, in altre parole, conoscere alla perfezione i propri doveri settimanali ; sapere su cosa si deve lavorare; quanto tempo un dato lavoro necessiti; se sono previsti spostamenti, cose del genere. Tutte informazioni da usare come capro espiatorio in caso di richieste giunte da capi e colleghi. Prendete un’ora di tempo, meglio se il lunedì mattina, per tracciare una lista delle attività che vi attendono da quel momento e fino alla fine della settimana. Date loro un ordine cronologico per importanza: dalla più importante alla meno impegnativa o urgente, e lasciate questo elenco sulla scrivania per i cinque giorni che restano. Considerate un po’ di spazio tra una voce e l’altra per le urgenze impreviste. Poi, una dopo l’altra, avanzate con i doveri. Ogni volta che avrete portato a termine un compito, flaggatelo. Al primo No che vi toccherà rifilare, le ragioni da offrire al vostro interlocutore le avrete sotto agli occhi, messe nero su bianco, in bella vista.
Terzo: provate a posticipare la richiesta che vi viene rivolta.
Proteggere la propria produttività significa anche doversi servire talvolta di alcune astuzie. Spegnere l’entusiasmo del vostro interlocutore, giunto fino a voi per proporvi una qualche incombenza, come tenere un piccolo seminario per un gruppo di colleghi di un’altra divisione aziendale, può essere una soluzione.
Per farlo, certo, occorre prima avere ben chiaro in testa (e in bella mostra sulla scrivania) il programma delle attività settimanali che vi aspettano (vedi al punto due). Al momento opportuno, potrete sempre rispondere al vostro interlocutore che in questo momento avete una certa attività improrogabile da svolgere, come (guarda caso) testimonia il vostro planning, ma che può tornare a chiedervi aiuto tra qualche ora/giorno. Quando ormai, il vostro aiuto, potrebbe non servire più. E nel caso fosse ancora richiesto, provate comunque ad attenuare la portata della richiesta, spiegando in sostanza che, vista la mole di impegni ancora da svolgere, più che un contributo totale, potrebbe essere al massimo una mano quella che sarete disposti a fornire. In questo caso, non dimenticate mai di ringraziare il collega o il superiore per aver pensato a voi per un’attività del genere. Confucio apprezzerebbe questo genere di accortezze.
Quarto: non siate impulsivi, chiedete più tempo per pensarci.
Una to do list settimanale non vi salverà dalle richieste, lo sappiamo bene. Un superiore - o un collega particolarmente testardo - vorrà sempre una giustificazione al vostro rifiuto. Per questo non dovete essere impulsivi. Guadagnate sempre del tempo - a ogni richiesta: ogni genere di richiesta - chiedendo se potete rifletterci un po’ su consultando prima, con calma, la vostra agenda degli impegni settimanali. Va da sé che il tempo che chiederete dovrà essere commisurato alla richiesta: organizzare un kick off può richiedere anche qualche giorno di riflessione, rivedere un testo o farvi carico della presentazione di un progetto è una faccenda da una decina di minuti. Tuttavia, questo genere di attendismo, alla lunga, paga.
Quinto: giocate la carta della colpevolezza.
Lo abbiamo detto all’inizio: dire No è un’arte che si impara, ma che richiede quel po’ di pelo sullo stomaco necessario a rompere uno schema consolidato. Quale modo migliore allora se non iniziando a giocare la carta della colpevolezza (o, se preferite, dell’assunzione dell’altrui responsabilità)? Di che parliamo? Di questo: un superiore viene a interrompere il vostro lavoro per chiedervi di occuparvi di qualcos’altro? Bene: consultate la vostra to do list settimanale e chiedetegli a cosa, secondo lui, dovreste rinunciare tra i doveri che avevate in programma e che non potete assolvere “per causa” sua. Quello che vi stiamo dicendo di fare è dunque di imparare a mettere i “disturbatori seriali” davanti alle loro responsabilità. Meglio ancora quando si tratta di un collega. Chiedetegli gentilmente di inviarvi due righe via mail per spiegarvi, nel dettaglio e con il vostro superiore in copia, in cosa consiste la sua richiesta e a cosa, secondo lui, dovreste rinunciare.
Pronti a scommettere che le richieste, in capo a qualche mese, si dimezzeranno?