Dimissioni: quando è il momento di cambiare aria

Di Valerio Sordilli, giornalista e Monster contributor

Le ragioni per dire addio alla propria azienda possono essere molte, e tutte differenti l’una dall’altra.
Ma esistono indicatori universali in grado di anticipare il bisogno di una nuova sfida professionale.
E non andrebbero ignorati.

C’è l’insaziabile, che ha trovato il lavoro migliore della Terra e adesso ne vuole uno sulla Luna. Quello che non ne può proprio fare a meno, perché la vita gli si è messa di traverso, e pazienza, cosa vuoi farci, succede. Poi c’è quello che ha preso il primo treno che gli passava sotto al naso perché non voleva aspettare ancora, ma adesso si è accorto che non va nella direzione che sperava. Certo, c’è anche quello che in un’azienda del genere come puoi chiedergli di rimanere ancora a lungo, andiamo...

Insomma, a mettercisi d’impegno e a volerlo proprio trovare, il potenziale dimissionario che alberga in ogni lavoratore alla fine salta fuori. Può volerci un po’ di più, un po’ di meno, ma se c’è nell’aria il bisogno di cambiare ambiente di lavoro, poche storie: prima o poi bisogna farci i conti.

Tracciare un unico profilo del “dipendente a rischio” (a rischio dimissioni, si capisce) è impossibile. Molto più pratico, semmai, è chiedersi se esistano denominatori comuni. Vale a dire indicatori universali in grado di anticipare, al di là dal contesto e del tipo di professionista, l’esigenza di un addio alla propria azienda.

Da queste parti crediamo di sì. E siamo convinti che segnali del genere non sia nemmeno troppo complesso riconoscerli tra le pieghe della propria giornata di lavoro. Basterebbe solo concedersi di tanto in tanto il lusso di un passo indietro, il beneficio di un’analisi sulla propria vita professionale come se fosse quella di un altro; e li troveremmo lì questi indicatori, se mai ce ne fossero, pronti a esortarci a uscire dalla nostra pseudo zona di comfort e fare la sola cosa sensata da fare: dimettersi.

Ma quando è davvero il momento di farlo? In generale: quando non avete più intenzione di lavorare col vostro attuale capo; quando volete più opportunità o nuove sfide; quando il lavoro non lascia spazio ad altro nella vostra vita; quando per quello che fate meritereste di più; quando siete insoddisfatti dell’ambiente di lavoro.

Quando, in definitiva, si manifesta una delle condizioni che abbiamo elencato qui sotto.

Vedere tutto in maniera negativa.

Ricordate l’ultima volta che vi siete lasciati andare a uno slancio di sano ottimismo pensando al vostro lavoro? Ecco, la velocità con cui risponderete a questa domanda è già un indice piuttosto attendibile del bisogno che avete di una nuova sfida professionale. Lamentarsi per ciò che non funziona in azienda (SPOILER: in ogni azienda c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe); cercare una sponda nei colleghi per evidenziare un problema; trovare sistematicamente pretesti per rimarcare una deficienza strutturale o di altro genere, sono tutti indicatori lampanti dell’esigenza di chiudere in fretta col passato e concedervi l’ebbrezza di un nuovo inizio.

Procrastinatori seriali.

Procrastinatori si nasce, ricordatevelo, non si diventa. Se lo siete diventati, perciò, cercate di andare a fondo alla vicenda. Provate cioè a scavare un poco sotto la superficie di questa nuova, singolare attitudine che vi contraddistingue: è possibile che troviate nella voglia di una nuova sfida le cause di un atteggiamento che non solo non vi si addice, me che, tra l’altro, rischia di non rendere giustizia ai professionisti che sempre siete stati.

L’ansia della domenica sera.

Se la domenica sera è diventato un momentaccio, nel senso che non riuscite a godervi l’ultimo scampolo di fine settimana oppressi come siete dal pensiero che il rientro al lavoro è ormai una questione di ore, beh, forse è arrivato il momento di pensare seriamente alle dimissioni. Quando eravate a scuola, e il giorno dopo c’era la verifica di fisica, era un conto, Unico consiglio: prima di chiudervi la porta alle spalle, provate a manifestare il vostro disagio a un responsabile. A ragionare, se c'è ancora margine, sulla possibilità di cambiare qualcosa rispetto alla vostra permanenza in azienda. Di uscire da questo circolo vizioso che è diventato per voi l'andare al lavoro. Magari c'è ancora qualcosa da fare, prima di mettersi alla > ricerca di un nuovo lavoro.

Promozioni e aumenti questi sconosciuti. >

Lo stipendio è lo stesso ormai da troppo tempo e, quel che è peggio, non c’è traccia di evoluzione professionale all’orizzonte. Non è che ci sia da cercare ancora in giro: basterebbe questo a giustificare il bisogno di cambiare aria. Come dite? Il lavoro non è solo una questione di salario! Vero. Ma di dignità sì, però. E allora se in azienda crescete voi, e con voi le vostre competenze, e con le vostre competenze - si presume - anche la qualità del lavoro offerto, perché il vostro ruolo - e a seguire il vostro stipendio - dovrebbero essere le sole cose a restare immutate dai tempi dell’assunzione? Un crollo di motivazione di questo genere è di solito il (giustificato) preludio alla firma delle proprie dimissioni.

Nessuna evoluzione tangibile.

Peggio della stagnazione economica e professionale, c’è solo quella formativa. Il giorno in cui avrete netta la sensazione di non imparare più niente dal vostro lavoro, di non evolvere di un millimetro dalla vostra posizione attuale, e di ragionare non più in termini di esperienze acquisite, ma di giorni, mesi e anni, per carità, alzate la mani, spegnete le luci, fermate tutto: è arrivato per voi il momento di scendere dalla giostra. Una nuova sfida è quello di cui avete bisogno per dare (di nuovo) un senso alla vostra professionalità. Ovunque trovi spazio. Al servizio di qualsiasi altro progetto. A qualunque età.

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